IL SALTO DEL MIO EROE
di Paolo Gondino
Poesie 2002 - 2003
MU - "L'Origine del Nulla, la Radice del Tutto"
COME UN ARCOBALENO LA SEMINA D'IMPROVVISO LA LUCE L'ABBANDONO IL POETA LA CORSA SUL LIMITE DEL PIANTO
UN GIORNO VOLEREMO UN ANNO DOPO QUANDO I TENTATIVI ESPLOSIONI IL VAGABONDO OLTRE IL CANCELLO
CANDIDE
ESTERNAZIONI
GLI
INCHINI
ORME
NOI
LA
FINE
IL
RITORNO
I
TUOI OCCHI
SUI
BORDI
IL
LUPO
LA SMENTITA GLI ORI ATTENDO DANS L'EAU DESERTO DOPO L'AMORE E' TEMPO DI UN NOI LE GRIDA
SCENDANO GLI ANGELI UN SOGNO, ORMAI LO SBAGLIO MENHIR L'ARCA TRE MAGICHE LEGGI L'ALTOPIANO
IL FOGLIO NON NEL MEZZO PROVVIDENZA DIVINA HO LASCIATO LE PORTE VEDO E VA STELLA CADENTE IL RAGNO DOMINI A BRACCIA ALZATE LE GAZZE LA GIOSTRA IL TEMPO IL GIOCOLIERE A UN SEMAFORO IL MONACO
IL CAPPELLO ATTENDO LA PIOGGIA E DODICI NOTE FINALMENTE I SEGNI L'AGO LA FRECCIA LA STRADA IL NIDO
NOI IMMORTALI NON AMO cortés LA ZATTERA OLTRE IL PERCORRERE PERSA LA TENSIONE PRIORITA' TSUNAMI
UN PO' D'ACQUA TUTTO E' SE AVESSIMO ALI IL SUONO DEL VENTO SANPAI UNO MILLE NESSUNO
"Un
uomo che camminava per un campo, si imbatté in una tigre. Spaventato, si
mise a correre, ma giunto sull'orlo di un precipizio scivolò, riuscendo ad
afferrarsi alla radice di una vite selvatica. Si lasciò penzolare nel
vuoto, mentre la tigre lo fiutava dall'alto. Tremando, l'uomo guardò giù,
dove, in fondo all'abisso, un'altra tigre lo aspettava per divorarlo.
Soltanto la vite lo reggeva. Due topi, uno bianco ed uno nero, cominciarono a
rosicchiare piano piano la vite. L'uomo scorse accanto a sé una bellissima
fragola. Afferrandosi alla vite con una mano sola, con l'altra spiccò la
fragola. Com'era dolce!" In
queste pagine si racconta di un enigma, di un Koan che nemmeno cento vite
basterebbero a risolvere, ma se il fragore di una foglia quando tocca l’erba,
squasserà un giorno le nostre menti, più nessun dubbio ci prenderà per mano e i riflessi di mille arcobaleni ci attraverseranno, finalmente ignari di noi.
Le
difese avvolte in pietose spirali spargono
polvere sulle mie macerie e
nuovi grandangoli a stento accolgono realtà
colme di troppa arroganza. I
sogni interrotti da passi convulsi osservano
al buio i contorni andati ma
la luce è oltre e ha bisogno di assenze come
un arcobaleno che corre sul vuoto.
Non
so dire se è stata follia entrare
con gli erpici nel mio immobile prato per
tentare una semina che ha sapore di ultimo. Gli
irrisolti salgono a nebbia dalle zolle scoperte e
i pensieri non più contenuti si allargano a macchia cercando
ansiosi le falde per giungere al mare. Il
sole chiama a un gioco estremo che profuma di vita e
io contadino del tempo, mi lascio invadere dall’essenza
profonda del ricordo di me.
D’improvviso
la luce illumina l'immane tragedia di ogni esistenza e
la
beffa del divino equilibrio scende
spavalda in ogni respiro. Forse
è tempo di abbandonare la nave ma
perdersi in un mare su
cui viaggiano lenti i velieri che
libero arbitrio sarà? E
allora continuo a vivere immaginando
chissà quali armonie col
ridicolo che sovrasta furioso e
occhieggia con un ghigno ormai noto. Io
affermo di andare in fondo alle cose ma
sempre mi arresto di
fronte all’ultima porta dietro
cui si cela la chiave del nulla. E
non bastano secoli davanti a un muro.
L’abbandono
è piovuto dal basso e
ha colato gocce di cera sul mio stupore io
che mi credevo al sicuro lontano,
su spiagge di roccia. Così
profondo è stato da
strappare le sete e i broccati e
illuminare a giorno i detriti lasciati
da maree per nulla pietose. Ma
nuovi occhi chiamano piano offrendo
inviti a me solo rivolti e
io li scorgo appena fra
i rumori che mi affollano il cuore.
Il
poeta è malato di
realtà. Le corse nei suburbi di città irreprensibili lo sfiancano, spingendolo contro muri di silenzio. Attorno a lui dita indicano percorsi obbligati e fotocopiatrici sparse su strade impolverate lo invitano a partecipare, complice, al moltiplicarsi di tanto orgoglio. Ostentate abilità nel creare mosaici perfetti gli aprono spiragli di assoluta impotenza attraverso cui filtrano i mille inadeguati del suo passato.
Ma il poeta ha ombre calde e colorate dense di suoni e di umori spazi attraversati da tempi infiniti dove
chiedere pietà per il proprio esistere.
Ricordi il cavallo che ruppe il trotto scomposto, goffo, a un passo dal nulla la corsa è un sogno
siano gli altri a guardare armonie di muscoli tesi nel volo il
poeta è cieco, a lui solo il sibilo di
un'aria trafitta da un infinito possibile. Gli
strati affettuosi ricoprono appena follie
sempre più necessarie e i versi trattengono
a stento connessioni di sangue che
un dio arrogante lasciò in pegno. Il
poeta percorre le lisce pareti della
sua anima implosa e non sa che la
vita lo osserva da tempo, in attesa.
Vederti,
toccarti, respirare dalle tue labbra sono
ali che scuotono arie stagnanti e
allontanano dietro angoli complici le
incertezze sui miei punti di fuga. Le
mie biglie di vetro corrono insieme
alle tue in un gioco di suoni e
trasparenze
sottili confondono passi da
tracciare su sabbie sempre più consumate. Tu
parli e intorno disperdi profumi che tutti vorrebbero stringere forte io adesso ne catturo l'essenza e
mi colmo sul limite del pianto.
Un
giorno voleremo con ali approssimate sui
confini dei nostri abbandoni a
un passo appena dal grande riscatto là
dove i colori, pazienti, attendono.
Gli occhi vorrebbero
tornare dai padri ma
giungle di forse, di appena, di quasi frappongono
un incerto che odora di buio e
i senza posto protendono mani segnate.
Chi
ha voce percuota i fragili cembali chiami
a raccolta le bozze incompiute perché
il segreto è nel tendere l'arco il
colpire nel centro soltanto illusione.
Adesso
che le colline ricoprono di attenzioni le profondità dell'inverno
mi ritrovo, come uno pseudonimo troppo affrettato un
passo di donna sul porfido intatto. Frotte
di colpevoli impotenze corrono avanti e
occhieggiano spavalde dietro angoli d'affetto lasciando
senza nome il segnalibro d'argento. Vorrei
un già trascorso, un avanti c'è posto ma lacci stretti alle caviglie
rovinano a terra
Quando i tentativi abbandonano
si avverte l'approssimarsi di un suono acuto che penetra i silenzi da sempre in attesa
del
muro di carta velina su cui lasciarsi ingannare. Architetti sapienti hanno alzato le mani affidando
a nere formiche i bianchi gessi con
cui tracciare i segni di fondazioni profonde. Forse
è giunto il momento di spiegare le ali nascoste lasciare
la presa e provare a volare.
Dopo
una vita precipitata a
inseguire equilibri assoluti
e a lacerare le anime vicine con richieste di paradossali complicità mi
trovo a vagare in terre di nessuno sorprendendomi
a comprimere spolette che
dilaniano i miei residui di dignità. L'immobile
velocità che accompagna l'urlo
silenzioso dell'esplosione deforma l'intorno
fondendo la compassione in
corde d'acciaio che si stringono al cuore mentre
stalattiti vecchie di ansie si
staccano in sequenze inesorabili e
trafiggono ogni desiderio di continuità. Quando i
bagliori delle mine avranno abbandonato gli orizzonti increduli i
miei occhi seguiranno i tuoi passi adagiandosi
nelle orme che da sempre attendono
la libertà dei nostri respiri.
Rocce
a picco come
torrioni di un castello armato ospitano
schiere di fanti a
difendere onori glorie passioni forse
inganni certo sorrisi. Il
vagabondo che arriva leggero
di piume guarda
sorpreso le alte mura scorge
le lance le spade ode
i rumori di corse affannose eccolo
è lui attenti che viene vorrebbe
fuggire ma
il profumo è antico riconoscerlo
è un attimo così
porta alle labbra un
flauto di Pan e
inizia a suonare.
Oltre
il cancello mi sporgo incredulo con
una domanda sussurrata in mano e
guardo andar via il tempo a venire sul furgone
scoperto che trabocca di affetti. Riprendo a tessere fili di kevlar immaginando
appena equilibri assoluti ma
gli oggetti si infilano in faglie improvvise lasciando
vuoti su cui si infrangono i sogni. Ai
margini, in silenzio, si affaccia un possibile ha
i colori in attesa, le preghiere al vento non
comprime distanze, non annulla ricordi ma
lancia ponti su cui si rincorrono i bimbi.
Candide
esternazioni mi spaccano il cuore lo
raccolgo tra montagne di immondizie in
voragini lasciate da esplosioni attente e
lo ricompongo in ideogrammi tracciati su
lunghe bandiere nel giallo giardino. Non
esistono polizze che assicurino il tempo impiegato
dal vento a cancellare i miei segni nemmeno
sterzate improvvise o voli notturni così
sovrappongo come un Sisifo a caso le
mie apnee a selve di finti respiri. Non
so che farmene di mani allungate ad accendere luci, a sorreggere ansie prospetti e sezioni sono stati tracciati con acquarelli leggeri la
frenata è dolce e il puzzo di gomma bruciata chanel
per le vostre narici.
Lontano
è il ricordo di consigliate arroganze, di
un io impostato in default a soggetto che
esplode certezze strette tra i denti. L'arciere
volge lo sguardo all'umile terra per
non ferire i respiri che lo avvolgono stretto e
da lei riceve ragioni per il suo cammino. Gli
inchini risolvono enigmi, koan imprendibili sfuggono
alle spire di una mente paurosa per
esser trafitti da frecce incuranti del centro. Ad
altri le risposte del dio di turno, il
silenzio soltanto per i pochi innocenti che non hanno più chiavi né porte da aprire.
Insieme guardiamo le
orme lasciate da
un noi abbracciato, increduli
di tanta armonia. Alle
spalle il tempo ha
richiuso le faglie, soltanto
orizzonti a
oriente e occidente. E
i tuoi occhi entro
cui il
nulla.
La
memoria delle nostre lontananze non
colma il vuoto lasciato dalle mani. I respiri si cercano la
pelle implora noti percorsi di labbra e
il tempo attende di essere allungato. Sfiorare
il tuo corpo è infilarsi in spiragli di assoluto dove
lo spazio si curva a raggiungere se stesso e
gli infiniti si uniscono, avvolgendoci. Sorge
così una variabile ignota che frantuma le menti lasciandoci
liberi di sussurrare voli imprendibili.
Un
caldo fluire di armonie diffuse mi
sorprende e mi avvolge. Mi
lascio scomporre arrendendomi
a dio e
affidando all'intorno la
mia parte del tutto. Così
scorgo i fili luminosi
e attenti che
mi legano a voi miei
compagni di vita. Come
siete splendenti nei
vostri respiri !
Mi sei seduta accanto la
tua gamba si muove circonda
le mie e
tu mi abbracci. Come
in un'onda mi immergo dimentico
di me.
Con
un volo impedito da
umili attese accetti
che il tempo ti
attraversi piano. Ma
io scorgo le tue splendide ali spiegate
sui nostri sorrisi e
lascio che siano cielo per
i miei orizzonti. Leggerezze
antiche ci avvolgono e i
colori tracciano su noi le
mappe di cammini alati.
L'amore
con te è una preghiera che
sale ad aprire le porte di
un infinito disposto alla resa. Sempre
stupisco del mio continuo rinascere mentre
sfioro in silenzio le pareti di un'anima percorsa
da tracce lasciate da dio. Tu, genesi
eterna offri
alla vita il
cenno di un sì e
a me l’occasione di un ultimo inchino.
Un
attimo prima
della fine i
confini del tuo volto si
scavano di assoluto per
accogliere le ragioni dell'esistere. I miei
occhi accarezzano la
profondità del tuo calco e una
nenia antica mi avvolge sollevandomi
da terra. Esplodi
silenziosa con la
dolcezza di un respiro e
la luce intorno non basta a
contenere il fragore.
Per
due anni dietro sbarre di piombo ho
stretto in mano il mio passato tamponando
a stento antiche espiazioni. La
vecchia casa ora attende carezze, pettinerò
i sassi fino a che la memoria se
ne andrà fra le onde dispersa dal vento. Divini
infiniti riempiranno le crepe si
tenderanno ancora le corde dei liuti e
suoni noti colmeranno gli spazi. L'indigeno
nudo, che non teme le altezze salirà
finalmente sulla cima del tempio e
getterà nel vuoto i gialli calzari.
I
tuoi occhi scendono sui fondali dell'anima e
sussurrano un assoluto al di là del tempo ma
sabba infernali annodano il respiro e
io mi appoggio, sfinito, ai margini del nulla. Mai
dunque si smorzerà l'eterno oscillare il
continuo ossessivo interludio tra
felicità assoluta e assoluto sgomento? L'inganno
di un termine cadrà con la neve e
le frecce trafitte da un contorno impossibile lasceranno
una traccia arrossata di me che
in ginocchio guardo il mio cuore impazzire.
Chi
accompagnerà i miei gesti ritmati ad
accogliere il rito di impassibili onde su
cui vagano le mie paure di padre? Forse
che un cuore impietoso potrà mai udire sentinella
all'erta di profumi taglienti i
gemiti della mia anima assorta? Io
vivo sui bordi dell'alba e
attendo che un suono mi colga in volo segnando
di numeri il posto vacante.
Vestirò
alfine le mie sembianze di vita occupando
lo spazio predestinato e
lasciando le osmosi fluire tra
gli anelli delle mie catene. I
denti bianchi sorrideranno alla luna e
saranno monito per chi ancora oserà negare
il volo dei miei leggeri gabbiani. Allora,
germi di morte mi invasero il cuore ma
un tremendo ululato li spazzerà via e
io guarderò nel profondo degli occhi il
mio lupo mancino.
Ferite
a strascico hanno percorso la pelle. Fili
di vita annodati sulle labbra sfrangiate non
trattengono sangue e umori
le foglie rosse cadendo lasciano senza impressioni la
pellicola della memoria. Solitario
autoscatto a ingannare l’interrotto. Curvare
il rame curvare il legno
curvare lo spazio usando
il tempo come divino strumento per affidare al Gange la pira infuocata ricolma
di tensioni sempre più circolari. Ed il ventricolo sinistro segnò un ++++.
Attivata dalla giusta sequenza, arriva cancella le memorie di una vita e mi porta in cambio come sempre da venticinque anni la testa di dio su
di un piatto di platino. A
che serve aver scampato buchi di
folli proiettili ipodermici se
ora sento il dito di cenere premuto
contro la mia fronte io
segnato marchiato infame con
croci di sangue sulle mie porte? Sono
tornato qui dove lei si nasconde per
l’ultimo scontro ma
la spada che mio nonno mi affidò giace
tra la polvere degli affetti e
le mie mani tremano al pensiero di afferrarla.
L'ultima triangolazione ha esaurito l'inerzia di un'attesa troppo a lungo protetta cancellando in un soffio le stazioni a venire. La fune dell'ancora è stata recisa, il sole non lascia più ombre sulle impronte di sabbia. Rimane l'ansia curvata nel rame per una compassione che ancora non scende a sfiorare la terra.
Il senso è stato alfine svelato, il compito con fatica assolto. Immaginavo un premio un plauso attestante il prostrato inchino che riconsegnasse ai miei occhi la realtà perduta negli abissi del tempo. Pensavo che un velo, un velo appena di acquisita saggezza potesse coprire di pietas antica l'amato intorno. Ma non è questa la fine che già scritta attende il capo ricurvo. I contorni solo più accennati mi definiscono a stento dopo che per tre volte il dio amore ha stretto a sé la mia immagine invano. Così percorro l'ultimo tratto senza ceselli e dietro intatta la foglia d'oro finalmente risplende.
Come sempre l'amore segna il contorno di paure urlate che rapide fuggono lasciando stanchezze colorate d'affanno. Urge l'inchino a un dio a caso che solchi la fine di terrori antichi alchimia del due fuso nell'oro. Nasceranno spazi curvati dal tempo e taciute armonie colmeranno ogni vuoto.
Gli ori ricoprono le ansie infantili avvolgendo i colori nell'ultimo sonno e chinano il capo dinnanzi al tempo appena stupiti dal suo punto di fuga. Io mi accingo ardito alchimista a unire distanze fra terra e amore mutando gli specchi in arcobaleni e osservando la luce curvarsi al passaggio. Ma sono sul taglio tra la vita e un sogno in equilibrio sulla soglia del nulla e la fatica è grande nel trattenere il volo delle mie invisibili ali da sempre in attesa.
Attendo gli spazi colmarsi di te inventando inganni che il tempo acconsente mentre sfioro le corde della tua anima bimba e osservo il suono invaderti dentro. So che ascolti appena in silenzio e lasci cadere le tue reti sul fondo io guardo i pesci spiegare le ali verso cieli infiniti e ti stringo le mani ancora una volta.
Ricolmo di vuoti arrendevoli mi confesso incerto di me guardando scorrere la vita intorno. Sapiente artefice di gabbie sottili osservo il merlo dal becco d'oro attraversare lo spazio ricurvo e ruotando lo sguardo lo colgo immobile sul ramo più alto. La freccia non segna l'ultima stella e l'arco d'acciaio percuote la terra incurante del seme che attende la pioggia.
Disarmonie confondono tracce colme di tempo e sabbia ricopre di parole attente un passaggio di noi. Deserto orizzonta occhi pietosi e stanchezze rifugiano coraggi a perdere. Abbandona i liberi, vola sontuosa di colori imprendibili mentre un suono assoluta l'aria intorno !
Dopo l'amore veli d'organza avvolgono realtà disattente e tu dervisci danze in tondo splendido sorriso al mondo in attesa. Ti lasci percorrere racchiuso universo dalle mie mani infinite. Incurante del tempo espandi armonie che mi attraversano piano. Hai gli stessi colori di una pace divina e coglierli è stato abbandonarmi di me.
I vuoti a sorpresa sono stati colmati da passanti di turno, arriva stupore di effetti a lato ma la luna è intera e annega il viandante. E' tempo di un noi a soggetto di tutto che urli amore e tagli le corde di chi avvinghia a te e a me i suoi pesi di morte.
Magneti urlati da iene annerite avvicinano ombre che dissuadono linee fuse d'amore. Con un battito d'ali tornate nel cerchio viandanti divini a ritrovare percorsi luminosi da sempre. Verticali improvvise confondono acque calde e aperte ma la spada è possente in mano al guerriero.
Distendo le braccia movendole piano e mi alzo in volo attraversando i sogni, aquila implume coraggiosa di vuoto. La lunga preghiera accarezza il vento avvolgendo di pace le amorevoli mani. Scendano gli angeli a colmare intervalli per i miei bimbi in attesa e per me che imploro l'ultimo inchino a chi ancora non so.
Forse il tuo tempo con saggezza divina addossa le scale a piccoli muri non a nuvole gonfie di altezza. Ho parlato tutti gli idiomi d'arte di cuore di pelle di mente e ora non so se il distacco, l'attesa hanno senso d'amore. Lascio ali le tue planare su padri fratelli figli a metà lascio paure le tue nutrirsi ancora di passati remoti vorrei, reale, un noi ma è sogno, ormai.
Vivo in un sogno di suoni ventosi di spazi accorti di vista profonda ma altri che amo vedono gabbie vuote paure da cui fuggire o non arrivare. Io sono il sogno e continuo l'inchino al maestro sbagliato.
Ho innalzato al cielo menhir in cerchio con fatica di vite mille chissà. Ora nel centro sono pronto al volo, alzo lo sguardo il silenzio intorno. Ma la chiave ha segni di luce da un lato soltanto ed io non so, non so.
Ho issato la lunga bandiera sul tetto dell'arca chiamando a raccolta le coppie dei miei apparenti contrari. Il primo giorno di un mese d'autunno si alzeranno i ponti si gonfieranno le vele e la speranza dell'ultimo viaggio seguirà la rotta tracciata da tempo. Non so dire di un ritorno possibile con racconti di coste viste dal mare, il capitano è solo davanti al suo nulla e le statue di sale a terra, nel porto.
Ora che il due ha risolto l'enigma, trinità fluiscono alla ricerca del centro. Fuoco acqua aria adagiano terra sulle ciglia colme di orizzonti vegliati e la rotta sapiente percorre i vertici svelando angoli segnati di stelle. Così il tempo dissolve sé stesso ed eterni risplendono l'universo e noi.
Riposti ormai stanchi i colori conclusi con lente spirali i sogni l’anima appare e risolve d'un tratto gli ultimi dubbi.
Magiche leggi di numeri antichi offrono simboli ai viandanti del tempo, mani eterne che più non sanno afferrare silenziose accompagnano il volo degli angeli.
Con un bacio sono con te sul nostro altopiano a un passo dal sole. Smarrito il tempo in labirinti d'amore luce avvolge labbra innocenti pelle immemore d'angoli mani senz'ansie d'arrivo. Silenzio è intorno se ne ode il suono colmare l'aria, respiro divino. Il resto è immobile in attesa del nulla.
Dopo, la nebbia scende sugli occhi a mitigare i contorni di realtà ritrovate.
Con matite forgiate da speranze assolute ho segnato fissato i miei punti di fuga, universi possibili dietro la luna io, ingegnere di razza in cerca d'enigmi. Ma gli equilibri tesi su linee a convergere, scomparsa la fine per reale incanto, hanno perso sé stessi sul foglio impazzito divergendo in danze ubriache di segni. Ho conosciuto il gesto di chi semina amore, le mani ora stringono vuote il mio specchio ruotando al ricordo di orizzonti sognati mentre un lungo respiro la tua ombra distende.
Il fulcro della piccola leva sfoglia le forze e scorre a cercare il giusto orizzonte. Quantità distanti, qualità di piombo e di piume insieme. Lunghi cammini l'eroe ha dinnanzi - non nel mezzo la fatica è riposta - mai l'attesa rivolge lo sguardo alle spalle del tempo. Così continua il cadere ma solo gli sciocchi gridano attento! i bimbi e i folli sorridono piano scorgendo le ali racchiuse nel volo.
Come spiegare ai bimbi in attesa la scomparsa del supremo equilibrio provvidenza divina di fronte a cui uomini, timorosi ma certi chinarono il capo?
Gli alibi degli assassini d'orizzonti stuolo di vampiri procacciatori di finito hanno scavato arroganti voragini dietro l'emisfero splendente della luna ridendo all'urlo del vento nel vuoto.
Su vette imprendibili santuari d'amore eterni offrono preghiere a dio tracciando mappe per i bimbi in cammino.
Ho lasciato le porte arrendersi al vento e la memoria fuggire sorridente di me.
Dismessa l'ansia di un unico centro, abbandono anche l'ultima legge avanzando ormai cieco sulle orme dorate.
Lontano, la voce del mio angelo ignoto attraversa i rumori guidandomi a sé.
Vedo come un vecchio orologiaio dietro i quadranti tempestati di brillanti l'ingranaggio quasi perfetto che regola il fluire di un tempo minuscolo autarchico e codardo. La mia schiena non regge l'inchino ai falsi equilibri delle riserve di caccia dove le chiuse a cadenza settimanale aprono il flusso agli intrattenimenti dell'anima VIA allo spettacolo della vita. Rendete onore agli eroi con baionetta ed elmetto che ogni giorno combattono senza un nemico sulla trincea dei loro terrori aspettando che suoni a sera la sirena per la fine dell'ennesima replica.
Il mio eroe saluta e va.
Depositati i contratti liberamente firmati acquisite agli atti le scelte di campo non vi rimane che sovrapporre ai vostri, gli orizzonti comprati certi di un collimare quasi perfetto. Poco importa se tutto è gioco di figurine scambiate o date in pegno per chiusure stagne a prova di vuoto i patti di sangue sanciscono il termine di vite vendute concedendo lamenti riconoscenti e riconosciuti.
Un cuore ormai saggio, stella cadente, ha diviso a metà la mia impotenza liberandomi dell'ultimo carico di pesi non miei e ora cammina al mio fianco in un cielo segnato.
Erano sbarre di gabbia ora sono ragnatele appiccicose a catturare prede per il ragno in attesa. Io, che credevo di tessere morbidi scialli su spalle amate e allontanare così il freddo e la morte. A lato, grumi di scena inducono aritmie e tracciano confini per solitudini antiche.
Lo sguardo non attraversa la vita ma le curva intorno sorregge l'equilibrio del tempo e risolve l'enigma.
Cerco i miei arcobaleni tra cristalli levigati con frequenze sinusoidali da troppi voler essere.
I periodi interrotti da reali impotenze ischemizzano desideri d'eternità opacizzando profondità di campo aprendo spazi a silenziosi dòmini extrasistolici.
Ma cosa c'entra l'amore in tutto ciò ditemi, cosa c'entra, ditelo a me che ho scritto, parlato, costruito due anni di vita su scale senza pioli.
Le braccia rimangono alzate per offrire alle mani, libere dallo stringere, l'ascolto di sogni alti, lontani. Sembrerebbe una resa ma guardate la punta dei piedi che ormai non tocca quasi le sabbie del deserto.
Un bimbo sotto la pioggia attenua l'ansia di un cuore incerto rifugiandosi al riparo di mani aperte a ombrello.
Chiamatemi folle, inutile, povero io lontano dai miei bimbi in cammino da una compagna in attesa da una vita vissuta. Ma qui, chi ascolterà il vento parlare alle foglie dell'alto pioppo chi accompagnerà i colori a sfumare nel rosso chi osserverà le giovani gazze saltellare nel campo? Piccole chiavi hanno bisogno di mani per aprire porte invisibili ai più.
Gira gira tonda tonda mai si ferma come l'onda che cancella orme appena sulla sabbia che gran pena !
Pensavo credevo certo di centro acquistato permanente mente elaborante assiomi su polvere di clessidre ruotanti.
Tutto qua tutto là da inventare reinventare.
Oltre l'oro ... il vuoto.
Appunto.
mi dicono che il tempo è in vendita
in vendita è il tempo? prezzo di ore giorni vite intere stabilito con bilancini da eroina tra paradossi di qualità rigorosamente relative, un assoluto costretto da paure d'eternità a vestire abiti finiti e tranquillizzanti
il tempo è da regalare offrire con un inchino senz'altro in cambio se non il vissuto d'un battito d'ali fra i suoni di una mano soltanto
sono uno stanco giocoliere le sfere di piombo roteano nelle mie mani trasparenti ingannando gli occhi altrui e i miei ma le sculture raccontano di passaggi rotondi nessun universo dopo oltre parallelo solo l'esatta millimetrica corrispondenza con la sfera d'oro
allora l'essenza è nel passaggio nulla da cercare nulla da trovare uguali il prima e il dopo
finalmente dio è transizione infinita
Il tempo, coacervo di relativi ostentati come assoluti mi folgora a un semaforo svelando al mio quinto occhio il suo segreto.
M'inchino ogni volta al finire dell'opera sempre stupito di aver visto mani mie non mie forgiare chiavi di vetro a me sconosciute. Ormai libero da un io a soggetto osservo inerme il disegno compiersi e umile percorro la via segnata da inesorabili linee.
Inutile è il monaco per il villaggio ai piedi dell'eremo.
Forse.
il cappello con un gesto assoluto volò gettato lasciato offerto
dissolti in quell'attimo i dubbi e le scelte il viso s'irraggiò di libertà raggiunta
così la spada del samurai sette volte sette affilata recise pietosa i legamenti piombando a terra le ginocchia intatte
e tutto divenne chiaro
m'inginocchio tra battiti d'allerta lasciando le energie scorrere al mare
e attendo la pioggia
e lo zafu gonfio di piume prese il volo
dodici note di vento forse libeccio ruotando accompagnano la mia presunta onestà
è un invito al silenzio all'ascolto di tracce senza luogo d'amore
ormai pagati i sandali di paglia attendo la congiunzione dei respiri immortali
mi chiamavano con un nome che non era il mio
mai ho risposto
un giorno distratto, mi sono voltato
mi hanno detto finalmente!
i segni chiedono sguardi fieri abbandono d'azioni nessun soggetto
così l'assoluto equilibrio si manifesta a noi spettatori in attesa
quando mi offristi la ciotola colma d'acqua vidi sul fondo l'ago
tremito di mani
la freccia è partita ha volato, ha colpito
ma non c'è bersaglio non c'è arciere
solo il vento muove le foglie degli alberi
vorrei comprendere la serietà di un intorno impigliato nel finito
e averne compassione
ma riesco soltanto a dar forma alla strada che porta allo specchio
due colombacci grandi di ali becco rosso mi guardano senza stupire
le loro ali oscurano la mia saggezza il loro becco acceca la mia conoscenza
io continuo a intrecciare il nido con pagliuzze d'oro e fili di rame senza posa senza fine
...l'arca è ormai lontana
torniamo tranquilli alle nostre case! nessun diluvio ci attende
folle il capitano partire così cieco solo senza timone senz'ancora senza ragione non tornerà no, non tornerà!
noi e i nostri figli, i nostri genitori, i nostri lavori, i nostri doveri noi e le nostre anime, i nostri cuori, le nostre menti noi sì rimarremo coraggiosi qui a salutare la partenza della prossima arca
noi immortali...
non amo Cortés lo so non c'è differenza ma non amo Cortés
non sono il saggio maestro di un monastero alto sul tempo sono un monaco che attende il gatto tagliato a metà per passare indenne e salvato attraverso l'=
salii sulla zattera raggiungendo l'altra riva
tornai volando
curvo lo sguardo oltrepassando i contorni
e torno a casa
incomprensibili linguaggi celebrano senza sosta l'assoluta realtà del percorso
ignorando gli = che sparsi ovunque indicano la relatività del percorrere
persa la tensione di corda legata alla vita attendo lo strappo lacerare le carni
assenze intorno nessuna memoria ami intatti tutto scivola
i colombacci loro sì hanno due figli a cui badare
è consuetudine che decretata da piccole paure la sequenza di sottomissione fissi le priorità del vivere in ordine decrescente d'obbedienza
solo il nostro eroe potrà esigere l'esatto succedersi del rispetto dovuto
quando lo tsunami arriverà a pennellare i nostri occhi ansiosi
si alzerà la polvere dallo specchio rimasto senz'anima
m'inchino a fatica
solo sguardi per i miei figli
tutto è in equilibrio
il vuoto banalizza le domande l'eco sottolinea le assenze e lo specchio riflette lo specchio moltiplicando all'infinito la mia impotenza
se avessimo ali magiche per volare alti sul mondo
mille fiori vedremo brillare in attesa di noi coraggiosi
coglierne uno soltanto sarà come invocare primavere lontane
il dòmino dei dubbi cadrà allora sui nostri occhi ricolmi di nulla
per quante vite ho inseguito e inseguirò il suono del vento
oggi si è fermato tra le mie preghiere
portando con sé il silenzio di un monastero lontano
sento appoggiarsi sulla spalla destra la spada del mio samurai come kyōsaku in mano al jikidō
reclino la testa per ricevere il colpo
sanpai
esaurita l'inerzia delle vite passate e di quelle a venire
m'appresto a concludere i miei mille respiri
atteso da sempre
"Ho vissuto la mia vita come meglio potevo facendo la mia strada in questo mondo. Ora la pioggia è cessata, le nubi sono scomparse, il cielo azzurro ha una luna piena."
Shoun, maestro Zen
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