La Trottola

 

 

Non ricordo né quando, né dove, né perché: forse la mia fu solo un’intenzione, a cui fece seguito l’emozione creatrice.

 

Ogni inizio si sarebbe sovrapposto a ogni fine, dando origine a una spirale che avrebbe formato il toroide, simbolo della complessità, dell’enigma e della sua soluzione.

 

Il tutto sarebbe stato virtuale, frattalico, olografico, non reale: l’unica realtà eterna e immutabile ero io.

 

L’emozione si servì degli archetipi, mie emanazioni, che proiettarono sé stessi sul velo dell’illusione, imprimendo sul toroide l’ologramma della loro complessità.

 

Ciò venne realizzato dapprima con i simboli, poi con le visioni, le immagini, i colori, i suoni e infine con le forme.

 

In questo modo gli archetipi collegarono sé stessi assoluti e reali, a sé stessi relativi e formali, tessendo il gioco con un unico filo: a un capo vi ero io, all’altro la mia immagine riflessa.

 

La soluzione dell’enigma venne così posta all’interno del toroide, dentro il labirinto: scoprirla, riconoscerla e rivendicarla non sarebbe stato frutto né di sapienza né di cultura ma solo di volontà.

 

Chiunque avesse trovato sulla sua strada un oggetto apparentemente d’uso comune e fosse riuscito a percepirlo come una forma senza contenuto servendosene archetipicamente, avrebbe attivato la connessione tra sé e Sé, risolvendo istantaneamente il koan.  

 

Teseo avrebbe però dovuto deporre la spada e, incurante degli orrifici versi emessi dal Minotauro, riavvolgere quel filo che aveva dimenticato di tenere in mano.

 

Il toroide si sarebbe così disfatto e con lui il labirinto, il Minotauro e infine anche Teseo.

 

Al termine, nulla sarebbe rimasto se non il filo avvolto intorno alla trottola che io, bambina senza età, avrei nuovamente lanciato, giocando a essere chi sono veramente.